Interrogativi, singolarità, discordanze narrative e inspiegabili silenzi
dei Vangeli
I quattro evangelisti si presentano come cronisti impassibili e distaccati. I fatti narrati quasi mai sono accompagnati da un commento di gioia o di dolore, da un’espressione di esultanza, neanche di fronte a fatti straordinari come la nascita del loro Messia o la sua morte. I miracoli più strepitosi sono raccontati senza nessuna enfasi, con la consueta semplicità e senza bisogno di esaltarli o abbellirli con l’aggiunta di elementi personali.
Numerose sono le discordanze narrative riscontrabili nei quattro Vangeli. Qualcuno potrebbe addirittura ipotizzare che gli evangelisti ci abbiano fornito quattro differenti versioni sulla vita di Gesù dal punto di vista storico-narrativo e geografico. Difficile enumerarle tutte, ne ricordiamo solo alcune delle più clamorose:
- secondo l’evangelista Matteo il ritorno a Nàzaret, dopo la nascita di Gesù, sarebbe avvenuto al ritorno dalla fuga in Egitto, mentre secondo Luca subito dopo la presentazione di Gesù al Tempio di Gerusalemme;
- secondo i Sinottici l’attività pubblica di Gesù si svolgerebbe prevalentemente in Galilea, mentre secondo l’evangelista Giovanni in Giudea;
- i Sinottici descrivono un solo viaggio verso Gerusalemme, Giovanni ne descrive almeno tre;
- gli interlocutori di Gesù, nello stesso racconto, capita che siano diversi (i discepoli, la folla, i Farisei e i capi Ebrei, o ancora ascoltatori increduli etc...);
- l’evangelista Giovanni non riferisce nel suo Vangelo alcuni episodi importanti (come la trasfigurazione, i preparativi della cena pasquale e la preghiera nel Getsèmani), nonostante, secondo quanto riferito nei Sinottici, egli ne fosse certamente a conoscenza per essere stato personalmente presente e partecipe all’evento;
- la data dell’ultima cena è riportata dai sinottici nel giorno della festa di Pasqua, mentre da Giovanni alla vigilia;
- le apparizioni di Gesù risorto presentano divergenze non solo nei personaggi, ma anche nei luoghi e nel tempo (secondo Matteo appare alle pie donne in Gerusalemme nello stesso giorno della risurrezione e, successivamente, in Galilea agli undici Apostoli; secondo Marco appare a Gerusalemme nello stesso giorno della risurrezione a Maria di Màgdala e ai discepoli; secondo Luca appare in Gerusalemme prima ai due discepoli di Emmaus e poi agli undici Apostoli; secondo Giovanni appare in Gerusalemme a Maria di Màgdala e ai discepoli nello stesso giorno della risurrezione, riappare ai soli discepoli otto giorni dopo);
- è singolare che solo gli evangelisti Marco e Luca, che non furono né discepoli né testimoni diretti, descrivano l’ascensione di Gesù in cielo, nonostante che gli altri due evangelisti, Matteo e Giovanni, nella qualità di testimoni oculari, si presume dovessero essere stati presenti a questo evento di fondamentale importanza ai fini della fede.
Queste singolarità e diversità narrative sono indubbiamente motivo di perplessità nel lettore contemporaneo abituato a leggere fatti coerenti e notizie controllate. È ancora inspiegabile come gli evangelisti abbiano potuto “macchiare” la loro narrazione con errori materiali ed imprecisioni grossolane, facilmente evitabili.
I Vangeli riportano che tra i discepoli al seguito di Gesù,
trasparivano intrighi, gelosie, invidie, incredulità, paure e ottusità. Vengono sgridati più volte dallo stesso Maestro per non aver capito il significato profondo del suo insegnamento o averlo distorto. I discepoli vengono presentati come coloro che non hanno saputo vegliare nemmeno un’ora con il Maestro durante l’agonia del Getsèmani e anche come coloro che fuggirono quand’era in pericolo, lasciandolo morire nell’abbandono e nella completa solitudine. I Vangeli, inoltre, mostrano discepoli che predicano con grande fervore, ma che fino all’ultimo si ritengono senza fede sufficiente. Ad esempio l’apostolo Pietro, nominato da Gesù colonna su cui si doveva fondare la Chiesa nascente, è presentato dagli evangelisti come una figura a volte insicura o povera di fede, al punto di fargli rinnegare il suo Maestro per ben tre volte! Di solito un autore sovrasta il personaggio, lo piega a se stesso, lo assoggetta alle proprie intenzioni. Nel caso degli evangelisti Matteo e Giovanni, non solo autori, ma anche testimoni oculari, è Gesù che li sovrasta, impegnandoli soltanto a custodire e a tramandare ciò che egli ha effettivamente detto.
Gesù non ha lasciato nulla di scritto, ma neppure gli evangelisti si sono preoccupati di dare un cenno riguardante il suo aspetto fisico, nulla che potesse interessare la curiosità umana al suo riguardo. Tacciono sulla formazione scolastica di colui che viene definito come “Maestro”; non riportano alcuna notizia tra la nascita e l’inizio della sua predicazione, ad eccezione di Gesù dodicenne che discute coi dottori della Legge nel Tempio di Gerusalemme. Silenzi inspiegabili, considerato che in tutti i racconti mitologici o di epopea religiosa gli autori mostrano la costante preoccupazione di descrivere il loro eroe, al fine di conferirgli autorevolezza e personalità.
Perché la morte in croce, proprio quella di cui il mondo antico aveva più orrore e disprezzo? Un’assurdità! Scrittori falsari avrebbero certamente evitato di inventare la croce come strumento di morte del Cristo. Uno scandalo per i Cristiani delle origini, che non accettavano di buon grado l’idea che il loro Messia fosse morto proprio in croce. E perché poi una morte infamante, in pubblico, nel posto più in vista di Gerusalemme affollata per la Pasqua, mentre il momento della gloriosa risurrezione è celato nel buio e nel segreto di una tomba, svelato solamente alla cerchia dei discepoli? Per dare conferma e credibilità alla sua missione sarebbe potuto apparire a qualcuno dei suoi avversari!
Il paradosso continua anche dopo la sua morte. In tutto l’impero romano
gli storici lo ignorano, i documenti del giudaismo, pur senza negare il Gesù storico, lo usano come fonte di scherno e di biasimo, e i sapienti non conoscono la sua dottrina.
In definitiva un Gesù lasciato solo, che affidava ingenuamente la sua dottrina in mano a dei rozzi collaboratori, sembrava essere destinato a porre la parola fine a tutto il suo progetto. Invece la situazione si capovolge e, dopo duemila anni di storia, Gesù oggi ci appare più vivo di prima. Si hanno quindi buone ragioni per affermare che questo Messia, pur avendo scelto solo apparentemente la via per fallire, ci vuole far scoprire che il suo messaggio inviato a tutti gli uomini è veramente fondato su principi intramontabili e su valori universali. Ed è lo stesso evangelista Matteo ad attestarlo, mettendo in bocca a Gesù le seguenti parole: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Cap. 24, 35).